venerdì 31 ottobre 2014

Gloria e vanagloria

I concorsi di bellezza ti spersonalizzano.  Tensione, male alle gambe e paura. Paura di non essere mai abbastanza, paura di essere emarginati, paura di essere sé stessi. Impersonare la maschera migliore che si ha nella cabina armadio della psiche, infilare sguardi languidi come mutandine color carne. Cattiveria e civetteria. Cattiveria. Erotismo da salumeria.

Il vortice satin di abiti cheap, indossati come fosse l'ultimo brandello di stoffa pregiata, elegantemente esibita da una prostituta. Perché è questo prostituire l'immagine, stuprare la propria umiltà.

In che mondo mi sono ficcata? Io non c'entro proprio nulla tra queste ragazze, con un finto ego lungo come la nave su cui soffro la mia crociera. Ci sono problemi più grossi nel mondo che fare 6 piani su luccicosi e lussuriosi tacchi 15, mentre inesorabile come la  continua e perpetrata sofferenza (voluta) ondeggia violentemente.
Lacrime di rabbia. Lacrime false come le tette pushappate, l'abbronzatura, gli autoscatti felici, le unghie di gel sbriluccicoso. Se non brilla tu non brilli. Essere in penombra penalizza. Bisogna sgomitare, afferrare con i denti luminosi come diamanti il fascio di luce ed estrarre l'exalibur della bellezza per colpire i giudici, dei fasulli di un mondo vero. Perché l'apparenza è vera. Non è solo percezione, è la realtà in cui il corpo è circondato.

Non lascio affondare la mia femminilità in un mucchio di stronzate posticce. Il bon ton non esiste, esiste l'eleganza di vivere.

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